Da "MONK’S BLUES" - Thelonius Monk -
"Devi prendere le note che vedi!"
— Thelonius Monk
Se la poesia è l’arte della sobrietà e dello stupore di immagini finemente sagomate ed esplosioni di ritmiche mutevoli, allora Thelonius Monk è stato uno dei più grandi poeti musicali d’America. (Whitney Balliett usava chiamare le sue ballate "sculture di suoni"). Ma la poesia non è per sua natura un’attività di gruppo, perciò si tende spontaneamente a vedere Monk principalmente come solista, o leader di una piccola formazione rigidamente inquadrata nella metrica da lui imposta. Ammessa quindi la sua impronta melodica ed armonica di eccentrico vanto, sembrerebbe a prima vista anomalo il fatto che abbia suonato e registrato con delle big bands, ed il fatto che lo fece più di una volta, e con un certo successo, sembra quasi miracoloso. In seguito Monk stesso ci dirà in confidenza di essere un mago.
Il suo primo miracolo lo fece nel 1959 durante un concerto, ora leggendario, che tenne alla Town Hall di New York: "L’idea di un’orchestrazione completa, l’avevo in mente da un po’ di tempo", scrisse Orrin Keepnews nelle note di copertina del disco prodotto dalla Riverside, contenete la registrazione di quel concerto. Aggiunse pure che la musica di Monk "suggerisce ricche e robuste sonorità". I brani di Monk e di Hall Overton arrangiati per il concerto, risalivano interamente al disco "Thelonius" del 1947, ed includevano l’omaggio del 1952 fatto a suo figlio, Thelonius Monk Jr. , "Little Rootie Tootie", un grazioso brano raccolto in questo disco.
Monk e Overton ripresero le sonorità tipiche delle big band nel 1963 al Lincoln Center, e alla Carnegie Hall nel 1966. Ovviamente a Monk, un artista di leggendaria integrità ed ostinazione, piacque la vasta rosa sonora che una grande orchestra dava alla sua musica.
Nel 1968, anno cruciale per la sua carriera, gli si presentò un’ulteriore opportunità; erano passati vent’anni dall’ultimo encomio ricevuto. Trent’anni prima, aveva iniziato a dar forma alla sua musica al club Minton ad Harlem. Degli ingaggi al Minton non ne sappiamo niente, ma Monk afferma: "Ci sono tante cose che non si possono ricordare, ad esclusione del le domande imbarazzanti". Nel 1948 Paul Bacon, giornalista per "The Record Changer" scrisse un articolo che conserva ancora una certa corrispondenza con la realtà: "Thelonius Monk può essere benissimo la persona in grado di mettere a posto la gente che ascolta la musica moderna informale" opponendo l’espressione "informale" alla parola "arte", ed omettendo il termine "Jazz". "Monk possiede un modo di suonare paragonabile all’impeto delle onde dell’oceano, - non importa quanto impreviste, spasmodiche od oscure siano le sue fantasie, perché lui continua irresistibilmente a battere... Monk sta veramente utilizzando lo spazio che c’è attorno al jazz, ed è in grado di far comprendere al pubblico che ci sono ancora un sacco di porte chiuse".
A cinquantuno anni, Monk sta ancora aprendo quelle porte. Ma è improbabile che una porta lo condusse ad Hollywood per una session con un’orchestra così grande per poter rendere piccoli i nove pezzi che lo portarono alla Town Hall nel 1959. Gene Cipriano, uno dei cinque clarinettisti delle session del 1948 ad Hollywood, crede che l’occasione nacque in questo modo: "Penso che Monk volesse Oliver Nelson come arrangiatore, così lo fece saltare fuori. Oliver stava lavorando giorno e notte per la televisione e quindi non poteva muoversi. Credo che Monk gli abbia trovato degli ingaggi per cui mentre figurava sulla West Coast, era in realtà qui a lavorare per l’album"
Anche il trombettista Bobby Bryant che era nell’orchestra che suonò con Monk, ricorda la carriera del suo caro amico ("eravamo come fratelli") Oliver Nelson: "Oliver era di St. Louis. Si era trasferito a New York perché era diventato un noto autore. Fece molte cose per la Blue Note e nello studio di Rudy Van Gelder. Venne a Los Angeles perché una società di produzione televisiva, aveva intenzione di preparare un remake di I Love A Mistery, la parodia di uno show radiofonico. Quello spettacolo aveva un commento musicale eseguito da un organo, una musica davvero tenebrosa, che per radio otteneva un certo effetto. Così quando furono pronti a mettere in onda lo show televisivo, vollero un arrangiatore per l’organo. A quel tempo Oliver stava lavorando molto per Jimmy Smith, ed è così che venne fuori il suo nome. Giunse qui con una traccia per lo spettacolo. Piacque molto a Hollywood ed agli Universal Studios, e dopo questo lavoro gliene vennero assegnati degli altri; fece qualcosa per Jack Webb ed infine lavorò per la serie Ironside per poi finire, dopo altri ingaggi, nello spettacolo "L’uomo da sei milioni di dollari".
"Oliver, e non serve dirlo, fu un grande musicista" ricorda Conte Candoli che suonò la tromba nei pezzi di Monk arrangiati da Nelson. "Era un grande tenorista, era divertente suonare la sua musica e lui apprezzava molto i musicisti dell’orchestra; intendo dire che era proprio un bel tipo. Peccato che se ne sia andato troppo presto [nel 1975]". Quando la Columbia Records pubblicò nel 1979 il frutto della collaborazione tra Monk e Nelson, il produttore Teo Macero scrisse nelle note di copertina: "Non ricordo di aver mai visto Monk suonare con una band di queste dimensioni, e sapete bene che gli arrangiamenti non sono mai stati fatti così. Era un arrangiamento sfrenato. Avrebbe dovuto ascoltare la band mentre registrava, e noi avremmo dovuto operare dei tagli.. Tutto prendeva forma immediatamente ed era come se Monk avesse viaggiato con quella formazione per anni!".
Tuttavia Bryant non ricorda quel "prendeva forma immediatamente" durante le sessioni di registrazione con Monk. "Era difficile fermarlo sul nastro" riferendosi agli arrangiamenti di Nelson. "Dovevamo ripetere i pezzi due o tre volte, perché arrangiare non è semplice. Molti brani scritti da Monk, erano semplicemente eseguibili con un sax, bastava un solo strumento; se moltiplichi la partitura per 15 elementi più Monk, ti puoi rendere conto di quanto sia stato difficile. Era una musica non semplice, e Nelson aveva scritto degli arrangiamenti difficili per una musica non semplice. Era una lotta in cui lo scopo era quello di far concordare i due aspetti. Mi ricordo che il batterista Ben Riley aveva suonato bene, come del resto m’impressionarono alcuni assoli di Conte; in un certo senso viaggiava con un’andatura professionale. In Straight, No Chaser, ricordo che era l’unico capace di suonare con brio, come fosse la cosa più naturale del mondo, mentre il resto era un po’ confuso. Ovviamente Monk era Monk, e ciò che ha fatto non si discute. In quell’occasione mi trovai veramente in soggezione anche perché credevo alle storie che circolavano: tutti lo ritenevano una persona bizzarra, come bizzarre si pensava fossero tutte le cose che faceva, e pure il suo modo di suonare era... wow!"
Larry Gales che accompagnò al contrabbasso Monk per molto tempo, era ormai abituato all’eccentricità del pianista e non ricorda una tensione particolare durante quella session. Commenta ermeticamente: "Era tutto tranquillo". Gales ammirava invece la professionalità di Nelson negli arrangiamenti fatti per la TV: "Le partiture erano molto leggibili". Gene Cipriano rimase molto impressionato da quella seduta, che ricorda ‘Monk’s Blues’ come: "uno degli album più piacevoli cui abbia partecipato; c’erano le giuste vibrazioni, una grande energia e Monk era semplicemente splendido. Per me fu solo un piacere suonare con lui, ed è un peccato che non ci siano state altre occasioni, perché tutto andava per il meglio. Gli assoli di Charlie Rouse erano perfetti e Monk lo avrebbe lasciato suonare di più; voglio dire che se ci fosse sto più spazio, Monk gli avrebbe detto di raddoppiare i ritornelli, ma così facendo sarebbe entrato in un vortice tale che sarebbe bastato un cenno di Monk per dargli il via libera. Cavoli! Era così divertente. Tra i musicisti c’era un feeling straordinario, e quando le registrazioni si conclusero, ci si poté rendere conto che razza di esperienza avessimo vissuto".
Quella "esperienza eccitante" durò per due giorni ancora. Una prevista terza giornata di registrazione venne cancellata a meno di sette giorni dalla session, anche se tutti erano già stati pagati, in conformità con l’art. 47 del contratto riservato alla Musicians Union Local. C’è sicuramente qualcosa sotto tutto ciò, ma a noi è sfuggito. Molto è successo nei 23 anni trascorsi e, come ricorderete, il 1968 rappresentò l’apice di un periodo critico per l’America. Mentre Monk chiudeva la session di Hollywood con la melodia "agrodolce" dell’assolo di "Round Midnight", un altro pianista, Richard Nixon, si stava preparando a varcare la soglia della Casa Bianca per il suo nuovo incarico di 37° Presidente degli U.S.A.
Dieci anni dopo, a Monk veniva conferita un’onorificenza dal Presidente Carter in occasione di un gala tenuto alla Casa Bianca. Questo riconoscimento pur essendo spontaneo, fu in realtà tristemente sarcastico, perché Monk aveva suonato l’ultima volta due anni prima al Jazz Festival di Newport. Whitney Balliett ha descritto quel concerto come: "incredibilmente straordinario; la sua sregolatezza era svanita". Vent’anni prima, in un articolo apparso nel Saturday Evening Post che proponeva un profilo di Monk, Lewis H. Lapham raccontava di una disperata ricerca fatta alle tre del mattino dall’eccentrico "alto prelato del Bop", di gelato alla fragola. Lapham scrisse: "Monk stava ascoltando il rumore di una lattina vuota che rotolava spinta dal vento; guardò verso il cielo e disse: ‘Sai qual è il rumore più fragoroso che si possa udire al mondo? Il silenzio’". Il prolungato silenzio di Monk in questi ultimi anni, è stato un eloquente, sebbene tragico finale di una straordinaria carriera. Ciò non deve, tuttavia, oscurare la sicurezza ed il genio evidenti sin dall’inizio.
Due aneddoti, tra i tanti in circolazione, illustrano meglio il suo genio, e come sottolineerebbe Bill Evans: "Il suo modo diretto di parlare, in un’epoca densa di imperativi conformistici". Nell’autunno del 1992, Martin Williams scrisse sul Musical Quaterly: "Ho osservato Monk durante lo spettacolo tenuto nel 1959 alla Town Hall... Uno dei musicisti aveva appena terminato di improvvisare uno dei suoi pezzi armonicamente più semplici, e Monk gli disse: ‘Se usi la melodia puoi ottenere un assolo migliore; non si possono stemperare queste variazioni di accordi’. Il musicista rispose bruscamente: ‘Vuoi che suoni la melodia?’ A quel punto Thelonius rispose semplicemente: ‘Se usi la melodia puoi ottenere un assolo migliore’".
In "From Birdland to Broadway" [New York: Oxford University Press, Inc., 1992], il bassista Bill Crow racconta a proposito del taciturno Monk: "Trovavo le sue composizioni troppo difficili per il modo di vedere la musica tipico dei contrabbassisti; gli dissi che alcuni intervalli mi sorprendevano, suonavano strani alla lettura, ma quando poi li suonai mi resi conto che erano normalissime quinte, seste e settime. Era il suo tocco che li rendeva particolari. Monk abbassò la testa e disse: ‘Non c’è nessuna nota nuova; quando guardi la tastiera, le note sono là, già pronte, ma se pensi che ce ne siano di più, il risultato sarà diverso. Devi prendere le note che vedi!’".
Monk sapeva cosa suonava, ed ai suoi musicisti chiedeva di fare lo stesso, nulla di più. Nel film di Stephen Rice prodotto da John Goodhue "Music in Monk Time", Ben Riley disse: "Lui non doveva chiedere nulla, perché era la musica stessa che esigeva disciplina". Suonare con Monk fu una prova del fuoco che temprò molti tra i grandi musicisti, tra cui John Coltrane che in un’intervista a Down Beat disse: "Lavorare con Monk significò avvicinarmi ad uno dei più grandi architetti della musica. Sotto ogni aspetto sono riuscito a sentire, e imparare da lui; per mezzo delle sensazioni, con l’astrazione e con la tecnica". Insegnava con esempi, con la perseveranza, e con un’indole innata ed inesplicabile.
"L’artista che non è indagabile o completamente prevedibile", ha scritto un suo sostenitore nonché produttore della Riveside, Orrin Keepnews, "è ritenuto quasi magico". Monk ha toccato con la sua bacchetta magica tutti i suoi musicisti che, grazie a ciò, sono riusciti a comprendere la sua musica provocatoria. "Monk era un mago" disse Sonny Rollins a Gary Giddins [Riding on a Blue Note: Jazz & American Pop, New York: Oxford University Press, 1981]. "I musicisti vorrebbero guardare la sua musica e dire: ‘Oh no, è impossibile, come si fa saltare da qua a là, ma che cosa è? ’E dopo quella notte ognuno di noi avrebbe riascoltato il concerto, e sicuramente sarebbe stato meraviglioso".
Buona parte di quello splendore e di quella magia, la si può rivivere in Monk’s Blues. Round Midnight è al tempo stesso austera e luminosa, e dolcemente frettolosa, mentre Brilliant Corners è un ambizioso tentativo di sveltire ed espandere simultaneamente un vecchio pezzo di Monk registrato nel 1954 con il batterista Art Blackey ed il contrabbassista Percy Heath. Il blues, rifranto dal singolare prisma di Monk, fu certamente la prima macchia di colore nel suo ampio spettro musicale. In un pezzo così caotico come Rootie Tootie si può ascoltare l’eleganza di Ellington che si fonde con la spigolosità di Monk. La critica suggerisce che Monk al pari di Ellington, sia uno dei più grandi compositori di jazz, e non è quindi azzardato affermare che Monk dia tono all’iniziativa e all’ossatura di un’orchestra, non meno di Ellington.
Fu così che nel 1968 ad Hollywood diede vita a due giornate di vibranti registrazioni in studio. Probabilmente quella non fu una delle session più facili ai Columbia Studios, ma nessuno ha mai affermato che lavorare con Monk sia stato facile: "Si doveva suonare perfettamente alla prima, o al massimo, alla seconda registrazione" ricorda Charlie Rouse, sax tenorista per molto tempo con Monk, rievocato nel film di Charlotte Zwerin e Bruce Ricker, Straight, No Chaser. "Se facevi casino era un problema. Te lo saresti sentito ripetere per il resto della vita". Ma poteva valerne la pena: si lavorava per un genio che John Coltrane riteneva "uno dei più grandi architetti della musica". L’onorario era rapportato alla domanda: "Ancora adesso, quando ascolto Monk" dice Gene Cipriano "penso al passato; quanti ragazzi hanno avuto la possibilità di registrare con lui?".
Nel 1993, la National Academy of Recording Arts & Sciences gli conferì postumo il Lifetime Achievement Award: "Per le sue laboriose composizioni jazz, per la tecnica non ortodossa adottata al pianoforte, e per i brani che ha lasciato, come ‘Round Midnight’ e ‘Straight, No Chaser; il genio delle sue registrazioni e delle esecuzioni lo porta certamente ad essere riconosciuto come uno dei più grandi artisti americani".
— Mark Humphrey
NOTA DEL PRODUTTORE:
Rimasterizzando quest’incisione di Monk, mi accorsi che in quella session vennero registrate altri tre brani, "Blue Monk", "Round Midnight" ed il pezzo di Teo Macero "Thelonius’ Rock (Teo’s Tune)" con la chitarra elettrica. In questa raccolta è inclusa "Blue Monk" sebbene la sezione dei sassofoni, verso la fine del brano, non sia chiaramente udibile; sembra quasi che qualcuno si sia dimenticato di accendere un microfono. Vista la qualità dell’esecuzione di questo brano, oltre ad uno sbalorditivo assolo di Monk, non potevamo non includerlo.
"Round Midnight" è un pezzo eseguito solo col piano, anch’esso risalente a quella session, e venne pubblicato all’interno del "Greatest Hits" di Monk (CS 9775), nel 1979. Abbiamo pensato che sarebbe stato opportuno restituirgli la sua giusta collocazione.
Il terzo brano che non venne pubblicato, "Thelonius’ Rock (Teo’s Tune)", era incompleto, ed era uno dei pezzi che Oliver Nelson non aveva arrangiato.
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John Snyder